La Sialometaplasia Necrotizzante, descritta per la prima volta nel 1973 da Abrams et al., è un processo infiammatorio reattivo ulcerativo benigno autolimitante delle ghiandole salivari minori spesso del palato.
L’aspetto clinico e le caratteristiche patologiche della lesione possono, a prima vista, far sospettare una patologia maligna tanto è vero che l’WHO la classifica nelle ghiandole salivari nel gruppo delle lesioni tumor-like.
E’ una patologia rara, in letteratura ne sono riportati poco più di 200 casi, che colpisce prevalentemente maschi bianchi, di età media intorno ai 46 anni.
L’aspetto istopatologico della lesione rivela un processo infiammatorio necrotizzante con iperplasia pseudoepiteliomatosa dell’epitelio sovrastante, senza evidenza di displasia.
Nello strato connettivale fibroso si trovano metaplasia squamosa dei dotti salivari, con necrosi acinare e preservazione della architettura lobuare delle ghiandole salivari minori vicine.
Sebbene l’eziologia rimanga sconosciuta, nella patogenesi si verifica un insulto fisiochimico o biologico dei vasi sanguigni che porta ad una modificazione ischemica con infarcimento degli acini salivari con necrosi, infiammazione e processi riparativi che inducono metaplasia, modificazione dei dotti e successiva cicatrizzazione.
Le lesioni ischemiche ipoteticamente responsabili del processo possono essere legate a intubazione, anestesia locale, procedure chirurgiche, uso di protesi dentali inadeguate, vomito violento spesso indotto in pazienti bulimici, processi infettivi, radioterapia abuso di tabacco, od alcool e/o cocaina.
La diagnosi si ottiene con una biopsia incisionale rappresentativa della lesione e delle aree di tessuto apparentemente sano immediatamente vicino alla lesione.
L’esame istologico deve essere attento ed accurato.
La diagnosi differenziale è con carcinoma squamoso, carcinoma mucoepidermoide, gumma sifilitica, lesione micotica profonda.
La Sialometaplasia Necrotizzante si risolve spontaneamente, guarendo lentamente per seconda intenzione in un tempo compreso fra 4 e 10 settimane.
Non si verificano generalmente recidive o deficit funzionali.
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