In ospedale si dorme male: anche la scienza lo dice. Chiunque abbia passato una notte in ospedale lo sa: si dorme poco e ci si sveglia spesso. Lo conferma uno studio olandese che ha approfondito il tema del sonno concentrandosi sulla sua qualità.
Il lavoro, pubblicato da Jama Internal Medicine 2018, ha esaminato i dati raccolti da circa 2.000 adulti che hanno passato almeno una notte in uno dei 39 ospedali dei Paesi Bassi.
Complessivamente, i pazienti hanno dormito in media 83 minuti in meno rispetto alla loro media casalinga e si sono alzati in media 44 minuti prima di quanto avrebbero fatto a casa.
I pazienti, inoltre, durante la notte in ospedale si sono svegliati in media tre volte invece delle due di casa.
I maggiori fattori di disturbo del sonno riguardano il rumore prodotto da altri pazienti, i dispositivi medici, il dolore e l’alzarsi per andare in bagno.
Ma a disturbare il sonno delle persone che hanno partecipato allo studio sono state, in oltre i 2/3 dei casi, anche cause esterne come le preoccupazioni lasciate a casa (“la moglie affetta da demenza a casa da sola o la gestione dei propri animali domestici o ancora per il fatto che non sapevano se avrebbero potuto partecipare al matrimonio della figlia) precisa Prabath Nanayakkara del Vu University Medical Center di Amsterdam, autore principale dello studio.
E’ emerso anche che, per la maggior parte del tempo passato in ospedale, i pazienti non hanno condiviso queste preoccupazioni con il personale sanitario: solo il 36% di loro ne ha parlato con medici e infermieri.
A differenza di quanto si pensa comunemente, in ospedale i pazienti più anziani hanno accusato meno disturbi del sonno rispetto ai più giovani ed il numero di pazienti che condivideva la camera con più persone non ha visto intaccata la qualità del sonno.
L’impatto negativo della carenza di sonno è ben documentato. “Si indeboliscono le funzioni cognitive come attenzione e memoria e la mancanza di sonno può anche portare a uno stato infiammatorio del cervello e a interruzioni nella produzioni di ormoni che interferiscono con la buona salute e la guarigione.
La soluzione è semplicemente lasciare in pace i pazienti smettendo di svegliarli la mattina presto e consentendo loro un periodo ininterrotto per dormire di notte. Questo sì che avrebbe enormi benefici” – spiega Sharon Inouye, autrice di un editoriale di accompagnamento e direttrice dell’Aging Brain Center di Hebrew SeniorLife a Boston.
Tutto ciò mal si concilia con i piani di lavoro assistenziali ospedalieri in epoca di contenimento al minimo del personale medico-infermieristico; ma talora un po’di flessibilità e personalizzazione sugli orari dovrebbe essere sicuramente raggiungibile alla luce degli svantaggi della eccessiva rigidità.